[Recensione] White Knight Chronicles: Origins

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  1. {GH}Pocho
     
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    Dopo il confortante esordio del brand su Playstation 3 e quasi in contemporanea all'uscita del secondo capitolo, ecco giungere White Knight Chronicles: Origins, capitolo appositamente realizzato per PlaystationPortable, con una trama dedicata e uno stile di gioco che, pur mantenendo le meccaniche fondamentali degli episodi casalinghi, prometteva di adattarsi perfettamente alla scarsa ergonomia della console portatile di Sony e di offrire un'esperienza di gioco soddisfacente, sia online che offline. Fin qui le premesse: vediamo se Japan Studio avrà mantenuto le promesse, realizzando una perla per l'utenza PSP, che si sta ormai confrontando con l'autunno della sua amata console.

    Come tutto ebbe inizio

    La pratica del prequel è ormai una moda conclamata e, spesso, risulta una scappatoia comoda per le software house per riempire il più possibile le linee temporali già oltremodo trafficate: gli eventi del gioco ci riportano circa dieci mila anni indietro rispetto a quelli narrati nell'episodio capostipite, protagonisti nell'apparentemente disperato tentativo da parte degli Athwani di contrastare l'imponente avanzata delle armate Yshrene, che si avvalgono degli enormi cavalieri già visti su PS3 al fine di spazzare via qualsiasi resistenza delle popolazioni che mirano ad assoggettare. Dopo una presentazione discreta, il gioco si apre con l'assalto delle truppe, capeggiate da uno dei loro sproporzionati capitani, che irrompono nel cuore della città, causando morte, devastazione e un più che giustificato fuggi-fuggi generale, a cui potremo scegliere di unirci oppure, in alternativa, avremo la possibilità di affrontare le ondate nemiche, sprezzanti del pericolo: in realtà, le scelte iniziali saranno solo utili al gioco per determinare la personalità e lo stile di combattimento del nostro alter ego e non influiranno sull'esito dell'incipit, che ci vedrà soccombere agli invasori e risvegliarci all'interno di uno strano vagone ferroviario, uno dei numerosi di cui è composto il Convoglio, che farà da hub centrale alle nostre avventure. Entreremo presto a far parte di una milizia mercenaria che si garantirà la sussistenza portando a termine le missioni più disparate, dall'eliminazione di determinati obiettivi al recupero di alcuni artefatti. Se suona comune come prologo alla storia, è perché lo è davvero.

    La reiterazione fatta gioco

    Monster Hunter, Phantasy Star Portable, Lord of Arcana, Gods Eater Burst: questi sono solo alcuni dei titoli da cui i programmatori hanno tratto evidente ispirazione, sull'onda dell'enorme successo che questo tipo di produzioni ha riscosso negli ultimi anni, soprattutto in Giappone, dove il forte elemento sociale riesce in qualche modo a sopperire a comparti narrativi carenti e a una costante ripetitività di fondo. Le differenze con i titoli succitati sono marcate e altrettanto evidenti sono le somiglianze: dalla struttura a missioni cooperative (potremo portarci dietro fino a 3 commilitoni) alla divisione in aree delle zone esplorabili, divise da caricamenti ma accomunate da una identicità delle texture e delle ambientazioni. Un buon numero di classi è disponibile fin da subito e contribuirà alla personalizzazione estrema dei contenuti del gioco, che si apre con un editor, in verità poco appagante: una grande varietà di armi (da mischia, da lancio, d'assalto) genererà abilità differenti, che il giocatore potrà impostare in una barra a fondo schermo, così da richiamarle con la semplice pressione di un tasto, rendendo, in teoria, i combattimenti frenetici e intuitivi.
    La teoria si scontra con la pratica, però: l'ampia gamma di combinazioni possibili risulta di fatto inutile, perché una forsennata pressione del tasto di attacco produce risultati ben più lusinghieri di qualsiasi tattica particolarmente articolata. Lo stesso vale per i boss, che raramente impensieriscono il giocatore, fondamentalmente a causa di due fattori: uno è da ricercarsi nella possibilità di fare un passo indietro e lasciare che i nostri compagni di viaggio facciano il grosso del lavoro. Non che questa scelta sia divertente, beninteso, ma il solo fatto che sia tecnicamente possibile è un punto a sfavore del gioco. Come se non bastasse, quello che doveva essere l'asso nella manica, il marchio distintivo, ovvero la possibilità di trasformarsi, (vedendo duplicati i punti ferita, o rigenerati quelli mana, ecc.) al riempimento di un'apposita barra a schermo, svilisce quelle che, nelle intenzioni dei ragazzi di Studio Japan, dovevano risultare come i momenti più alti della loro produzione: tre quarti dei boss del gioco moriranno pochi secondi dopo la trasformazione, senza particolari tecniche di attacco né di ricerca del punto debole. Solo una brutale dimostrazione di potenza, che appaga al primo appuntamento, non stupisce al secondo e finisce con il divenire noiosa routine al terzo.
    Tutto il contorno all'azione principale, pur di buon livello per quantità e qualità, finisce con il somigliare a splendidi festoni esposti durante una festa particolarmente smorta: la possibilità di aggiungere carrozze al treno, reclutando nuovi personaggi e facendo turn over all'interno del nostro party, quella di forgiare le proprie armi tramite l'aggiunta di artefatti rinvenuti durante le missioni che, per la cronaca, sono presenti in numero più che soddisfacente, vanno quindi sprecate, perché il piatto principale risulta privo di sapore, non cattivo ma piuttosto sciapo. Non c'è traccia della varietà di mostri vista in Monster Hunter né dell'accattivante character design di Gods Eater Burst: ci sentiamo di dire che il titolo non eccelle in alcuna categoria, risultando nella media, quando non immediatamente sotto, in ogni sua componente, restituendo un'esperienza di gioco incompleta e monotona.

    Nothing more than ordinary

    La possibilità di prendere parte a missioni online fino a 4 giocatori (a cui va aggiunta quella di giocare in locale con altri tre amici) campeggia in copertina, ed è forte la sensazione che Sony puntasse perlopiù (per non dire solo...) su questo elemento per ingolosire il pubblico che potrà, in effetti, godere di una discreta esperienza in rete, visto che entrambe le modalità non risentono di lag consistenti e si sono dimostrate, alla prova dei fatti, uno degli elementi meglio sviluppati in questo primo approdo dei cavalieri bianchi su PSP.
    Non possiamo dire lo stesso del livello grafico raggiunto, sufficiente ma nulla di più, vittima di un riciclo francamente eccessivo di texture, colori, costruzioni poligonali e di personaggi anonimi, che pagano dazio alla scelta di rendere il party, a cominciare dal personaggio principale, totalmente personalizzabile.
    Se è vero che si fatica a parlare male del versante sonoro, è altrettanto vero che non possiamo dire che anche solo due note delle melodie ascoltate ci siano rimaste in testa a console spenta, anche dopo sessioni di gioco prolungate.
    Come per altri prodotti similari, il consiglio è di procedere all'acquisto se, e solo se, siete dei fanatici della serie o del gioco online, o se disponete di altri tre amici che condividano una di queste passioni con voi: ci sono decine di migliori esperienze single player nella vasta ludoteca dell'handheld targato Sony.
     
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0 replies since 29/7/2011, 18:42   5824 views
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